Il contrario dell’avarizia è la capacità di donare con cuore sincero, eventualmente anche facendo sacrifici: infatti non è sufficiente offrire qualcosa che per noi è superfluo o che altrimenti getteremmo via.
Per donare bisogna lottare contro la bramosia di possesso che si cela sempre, in modo più o meno grande, entro di noi. Donare significa uscire dalla solitudine nella quale è rinchiuso l’avaro, per andare incontro agli altri!
Ma donare che cosa?
Donare tutto ciò che desidereremmo fosse donato a noi stessi.
La cosa più importante da donare agli altri , ma anche a noi stessi, è certamente la pace, perché ciò che un essere umano desidera sempre è il dono della pace, fatto con amore e, quando necessario, offrendo in dono il perdono: è il perdono che si dà agli altri e a noi stessi, invece di ferire e ferirci con critiche e giudizi malevoli.
È essenziale avere un approccio benevolo verso il mondo ed esprimere solo pensieri, che non feriscono gli altri né noi stessi.
Dobbiamo lasciare con gioia ogni pensiero aggressivo!
Affermiamo di voler perdonare, ma siamo veramente capaci di perdonare?
Parlare di perdono è facile, ma perdonare veramente è molto, molto difficile! È tanto più difficile perdonare quanto più l’offesa ricevuta ci ha colpito nei sentimenti più profondi.
Il concedere il perdono rimane sempre a fondo perduto, perché chi lo offre deve avere la consapevolezza che non necessariamente l’atteggiamento di chi ci ha offeso cambierà in seguito all’offerta di perdono, in quanto, se l’offensore cambierà atteggiamento, ciò può apparire all’offeso un implicito riconoscimento di avere commesso un errore.
La capacità di perdonare veramente e quindi di dimenticare l’offesa, dipende dal nostro carattere e dal nostro atteggiamento verso la vita, in particolare dipende dalla presenza o meno in noi di empatia verso tutto e tutti e di gratitudine per quello che abbiamo e potremmo non avere. Ad esempio avrà grossi ostacoli a perdonare chi è restio a dare fiducia agli altri e chi ha un così profondo orgoglio, da non essere capace di chiedere scusa per l’offesa arrecata.
La volontà di perdonare richiede il dominio e la stima di sé, tenendo presente la conoscenza dei propri limiti. Tale conoscenza si chiama umiltà e comporta il ricordare che nessuno di noi è depositario della “verità”.
Per riuscire a perdonare veramente bisogna riuscire a tornare sui conflitti e sugli insuccessi del nostro passato, senza sentirne disagio o rimorso. Occorre lavorare su noi stessi per fare in modo:
a) da considerare gli errori che abbiamo commesso non un fallimento globale dell’esistenza, ma piuttosto una possibilità che ci è stata data di conoscere meglio noi stessi e l’altro;
b) che la situazione che ne è derivata sia uno stimolo a farci ripartire con entusiasmo ed intelligenza per evitare, in futuro, di fare gli stessi errori.
Evitiamo di concentrarci sull’offesa ricevuta e sul danno che ne è conseguito, perché questo atteggiamento ci fa aumentare la rabbia e il risentimento; invece bisogna trattare il tema del perdono allentando la morsa del rancore.
Perdonare è sempre una libera decisione; è un per-dono. Saper perdonare ci porta a vivere con più forza e intensità la propria vita ed a sperimentare il senso di liberazione che ne consegue. Se non siamo capaci do perdonare, rimaniamo prigionieri del risentimento e della recriminazione, che assorbono tempo ed energia, occupando la mente senza trovare sollievo. La stessa salute fisica può soffrire a causa della incapacità a perdonare, perché avere stabilmente dentro di noi sentimenti intensi di ira, di rivendicazione e di ostilità, non può non avere un impatto negativo sulla nostra salute.
Saper perdonare significa aver compreso che c’è più gioia nel dare che nel ricevere!
Sergio Paribelli
Gaspare dice
L’argomento è molto arguto e di facile comprensione. Mi piace
Bepe Bolatto Loggia Hermannus van Tongeren n° 204 all'Oriente di Utrecht, all'obbedienza del Grande Oriente dei Paesi Bassi dice
Una Tavola magistrale che, come sempre, mi permetterò di condividere con quei Fratelli italiani e olandesi a me legati per affinità di pensiero.
Che il G∴A∴D∴U∴ ve ne renda merito.
Vincenzo F dice
Le parole sagge che vengono qui edotte meritano il meritato plauso, sia per il fratello che scrive ma soprattutto per quanto oggi diviene difficile renderlo possibile. Dunque, ci troviamo di fronte all’impossibile intesa come scelta nel concedere il perdono come la stessa caparbietà nel comprendere filosoficamente il senso profondo.
Innanzi allo scenario del quotidiano diviene un utopia anche se vogliamo cogliere in essa quel tendere verso un ideale,che coscienziosamente appare difficile. Non sia il mio modesto contributo virgolettato come pirroniano…ma la realtà nel leggere quanto l’umanità rasenta ci lascia increduli proprio nel contrasto del nostro volontà di agire ma soprattutto in quell’Esserci per definirla secondo Heidegger.
Un rinnovato plauso.
Fr Vincenzo Felice Or Rito Egizio Lecce
Antonino dice
Sta scritto nel Vangelo di Mc:
«A chi perdonerete saranno perdonati i peccati; a chi non perdonerete non saranno perdonati. Siamo obiettivi! Infatti chiedo: «Perché esiste l’inferno per noi credenti?» Il perdono, quindi, con tutta la forza della buona volontà cristiana, non è sempre scontato in nome di un superamento della sofferenza umana. Dante ci introdusse in un iter di redenzione che ha i suoi comparti ben definiti e che evolvono dalla bassezza del peccatore all’apoteosi della elevazione più alta che è il Paradiso. Come può perdonare una mamma, un padre, un fratello il disfacimento della vita di un bambino che non conosce l’odio, né la guerra perché è innocente in tutto? Quanti degli sfollati, dei costretti a fuggire, sono propensi a perdonare i dolori e le inimmaginabili sofferenze dovute alla tirannia più disumana? Chi toglie la vita con malvagità e la crudeltà più spietata ad un bimbo innocente non troverà perdono dinanzi a Dio perché ha violentato la vita, contravvenendo all’Amore di Colui che l’ha creata. Cristo non perdonò i mercanti che avevano violato il sacro tempio, luogo di preghiera, né disse ad ENTRAMBI i ladroni in croce che sarebbero entrati in Paradiso con Lui. SOLO AD UNO che aveva chiesto pietà! Senza il pentimento più profondo e consapevole, il perdono resta un vantaggio per chi ha commesso un’azione mostruosa, ma è una lacerante prova per chi l’ha subìto incolpevolmente. Parlo da credente quale io mi ritengo. Il Padre Supremo soffre per la morte provocata ai suoi figli innocenti, involpevoli. Il perdono travalica la nostra logica sfiorando persino il senso spirituale di giustizia. Perché Papa Francesco, che certamente soffre per l’infamia dell’aggressione all’Ucraina , spinge a pregare, si indigna per la violenza, ma non dice: «pensiamo a perdonare i tiranni, la sofferenza che essi provocano si supera col perdono. Dio perdona tutti, anche quelli che uccidono, straziano, violentano!» Gesù avverte: «Guai a coloro che sono oggetto di scandalo per i piccoli…» Perché «GUAI?» Chiediamocelo da buoni cristiani!!! Dov’è il nesso tra “Guai” e “Perdono”?
Nei dieci comandamenti c’è: “Non uccidere”. Perché?
E come mai il Padre Supremo chiede a Caino se aveva compiuto qualcosa di orrendo…? Meritava il perdono? Perché Giuda si impicca non riuscendo a chiedere perdono? Forse riconoscendo che per il suo grave gesto non poteva meritarlo?