Il mondo cambia continuamente, e la storia, in quanto analisi retrospettiva degli accadimenti, riporta sotto i nostri occhi le cause e gli effetti di questo mutare. Esistono cambiamenti lenti, che impiegano centinaia di anni per concretizzarsi e che risultano impercettibili ai limiti della nostra esperienza quotidiana e necessitano di una visione molto panoramica della scala del tempo, ma grazie ad essa sono interpretabili con relativa facilità. Esistono poi cambiamenti repentini, che spesso ci spiazzano perché mettono a dura prova le nostre capacità di adattarci alla realtà improvvisamente mutata. È mia impressione personale che questi ultimi siano sicuramente i più drammatici ed incisivi nel condizionare la nostra vita: mi riferisco alle cosiddette “rivoluzioni”, spesso laceranti per la difficoltà di comprensione e di adattamento di chi le subisce.
Le cosiddette rivoluzioni, grandi o piccole che siano, accadono con sempre maggior frequenza, giacché il mondo corre sempre più velocemente, al punto che noi facciamo fatica ad abituarci al vorticoso roteare del caleidoscopio di cui noi stessi facciamo parte. Basta un’attenta osservazione del nostro vissuto personale a metterci di fronte a quanto il mondo cambi anche nel giro di pochi anni. Quella che quaranta anni fa era una vita “normale” oggi è poco concepibile alla luce del progresso e delle innovazioni che ci hanno letteralmente investito negli ultimi decenni. Un classico esempio è l’evoluzione del computer: nel 1969, mentre Neil Armstrong lasciava le sue impronte sul suolo lunare, il computer a bordo dell’Apollo 11 utilizzato per la missione aveva una memoria complessiva di 152 KB. Oggi, se uno smartphone possiede 8 GB, cioè una memoria più di 55000 volte maggiore, è considerato un dispositivo di mediocre qualità.
Ma ciò su cui intendo oggi riflettere con il vostro aiuto è un cambiamento silenzioso, e tuttavia relativamente rapido, che riguarda la nostra epoca e risulta a me alquanto inquietante, perché sta cambiando l’uomo decisamente in peggio, e cioè quello che si potrebbe definire l’eutanasia della normalità.
Per “normale” si intende ciò che risulta conforme alla consuetudine e alla generalità, e questo è un concetto che nella sua immediatezza è comprensibile anche a un bambino. Tuttavia, intendiamoci: la normalità contestualizzata al reale non è un’idea di facile comprensione, perché è difficile (ed opinabile) poter operare una distinzione certa tra ciò che può essere considerato normale e ciò che invece si posiziona fuori da tale ambito. In questo senso, la normalità ha sempre limiti sfumati. Da uomo di scienza, so bene che il normale – in senso biologico, fenotipico – non esiste, ma è frutto di estrapolazione di un’osservazione statistica: normale è, in linea di massima, ciò che è più frequente.
Ma le parole, si sa, sono abitate da fantasmi, ed in questo caso i fantasmi hanno dimostrato spesso tutta la loro malignità. Gli uomini hanno sovente strumentalizzato il concetto, associando la parola “normale” – in modo rigido e decisamente capzioso – al sostantivo dal quale essa deriva, e cioè “norma”: se la norma è regola, ciò che non è normale è da considerarsi irregolare. Da qui, una volta dettata la regola (religiosa, razziale, politica), per applicazione della legge (spesso del più forte), tutto ciò che non ricadeva nel giusto perimetro è stato considerato aberrante ed indegno. Senza andare troppo indietro nel tempo, basti pensare, emblematicamente, ai funesti eventi che hanno caratterizzato gli ultimi cento anni: da quelli più eclatanti, come gli effetti della selezione della razza ariana o della guerra religiosa contro i “cani infedeli”, fino ad alcuni orrori perpetrati persino all’interno di nuclei familiari. A tal proposito, uno degli esempi più famosi è stato quello di Rosemary Kennedy, sorella di John e Robert Kennedy, la quale, aveva costumi troppo inclini alla libertà sessuale ed alla insofferenza per le regole. Per decisione del padre, che non voleva scandali in famiglia a causa delle sue ambizioni proiettate sui figli maschi, Rosemary, considerata anormale, fu sottoposta a lobotomia nel 1941 e visse fino al 2005 senza più aver occasione di dare scandalo. Persino le malattie sono state sacrificate al mito della normalità, fino ad essere intese come una punizione. A tale proposito, giova ricordare tutte le negatività legate ad una malattia infettiva come l’AIDS, che è stata identificata come un mezzo (naturale? divino?) per colpire coloro che si erano resi colpevoli di omosessualità o tossicodipendenza (chiudendo un occhio sulla triste sorte dei soggetti politrasfusi). Ma ciò che è probabilmente peggio è il parto del concetto di eugenetica: sulla base di argomentazioni pseudo-scientifiche, o spesso anti-scientifiche, una volta definito il “normale” fenotipo, tutti gli individui che non rispondevano ai canoni fissati venivano considerati anormali, fino a propugnare e praticare, per essi, la sterilizzazione o addirittura la soppressione fisica.
Normalità: semplice concetto o demone distruttore? Come ho già detto, in nome di essa – o meglio, della distorsione del suo significato – sono stati perpetrati orrendi delitti.
Ciò che tuttavia appare ugualmente pericoloso è quanto sta succedendo oggi.
Se analizziamo con attenzione l’attuale cultura-tipo, ci rendiamo conto che l’odierna “malattia”, con tutti i connotati negativi ad essa connessi, è proprio la normalità. Tanto per cominciare, sembra che oggi sia diventato un tabù anche tentare di distinguere tra ciò che potrebbe essere categorizzato come “normale” e ciò che potrebbe non esser ritenuto tale: la società attuale non ammette orientamento in tal senso.
In più, se alcuni comportamenti o fenomeni rientrano nella “maggior frequenza”, essere considerati normali equivale ad essere considerati mediocri. Sembra quasi che agli individui di oggi non solo sia richiesto di rifuggire una piatta normalità, ma anche e soprattutto comprendere, giustificare e possibilmente assaporare il pregio di tutto ciò che è insolito, indipendentemente dalle sue reali caratteristiche. Sembra quasi che, al di là del bene e del male, qualsiasi manifestazione racchiuda tutta la sua positività soltanto nel suo essere non routinaria, fuori dalle righe. In tal modo si inquadrano alcuni comportamenti che arrivano ad orientarsi contro il naturale (naturale??) istinto di conservazione (mi riferisco a fenomeni eclatanti come la cosiddetta “Blue Whale”, strano e sinistro modo giovanile di mettersi in gioco fino ad arrivare al suicidio spettacolarizzato), ma anche ad altri accadimenti che facilmente possono essere appresi dalle pagine dei giornali o dalla rete. Ci basterebbe considerare i potenziali e spesso reali danni dei sostenitori dell’anti-vaccinismo, dell’omeopatia, del veganismo, e potremmo soffermare la nostra attenzione su bizzarrie come il terrapiattismo che, al di là della sua ostensiva banalità, è tuttavia ugualmente allarmante perché oggi, nel ventunesimo secolo, fa proseliti!
E si può andare oltre. “Volevo farlo come un dono di una madre a suo figlio”. Normalissimo: così la 61enne del Nebraska Cecile Eledge ha commentato all’Indipendent la nascita di una bambina concepita con la fecondazione artificiale per conto del figlio gay Matthew, sposato con Elliott Dougherty. Alla nascita della bambina ha contribuito anche la sorella di Dougherty, che ha donato i suoi ovuli, mentre Matthew lo sperma di modo tale che il nascituro avesse, poi, il materiale genetico da entrambe le parti della famiglia. Cecile – madre di Mattew – ha, a sua volta, ricoperto il ruolo di “madre surrogata” di sua nipote. Sui social è scaturito un dibattito tra migliaia di utenti che ha evidenziato la grande solidarietà alle due famiglie che hanno saputo sconfiggere gli stereotipi. Normalissimo…
Epifenomeni, questi, che sottendono disagi ben profondi, e soprattutto distolgono l’attenzione da un aspetto ancor più inquietante: probabilmente, se tali manifestazioni sono considerate normali al punto da arrivare addirittura ad essere riportate come se fossero reali conquiste, allora la malattia è nella società nel suo complesso, società che in questo caso non è però un leviatano che condiziona tutti, ma un qualcosa che assume in sé le distorsioni di tutti i singoli: il male soggettivo, nascosto nell’individuo, si esprime declinandosi nel male oggettivo e visibile.
Cari Fratelli, a me pare che siamo ben oltre il relativismo: siamo oggi spettatori di una vera e propria trasvalutazione di valori, dove etica, cultura, affetti, amore, famiglia, conquiste scientifiche vengono sacrificati spietatamente sull’altare dell’anarchia assoluta, scambiata per benessere, ed elevata a strumento di affermazione sociale.
Mi domando se la normalità stia morendo per mano dell’uomo, che ha definitivamente rinunciato ad essere “misura di tutte le cose”, o se forse la normalità non esista davvero, non sia mai esistita in assoluto, e ce ne stiamo rendendo conto solo ora.
Per quanto mi riguarda, non sono mai stato un moralista, ma la mia tendenza ad avere dubbi e ad esercitare un possibile autonomo giudizio mi porta ad aprire gli occhi su questa situazione che sinceramente non mi piace per niente. Vero è che tra il bianco e il nero esiste un’ampia varietà di grigi – e di colori – ma in questo caso faccio fatica a trovare un punto di partenza per comprendere dove stiamo andando.
Personalmente, sono stato sempre affezionato al concetto di normalità, inteso non come un compartimento stagno al di fuori del quale tutto è caos, ma come un punto di riferimento per orientare le mie riflessioni. Oggigiorno sembra che il volontario rifiuto del concetto di normalità sia alla base della validazione di qualsiasi speculazione, non importa se razionale o irrazionale: il rifiuto dell’assioma autorizza l’anarchia del pensiero, perché depriva il processo teorico razionale di riferimento di ogni sua valenza.
E dunque, cari Fratelli, mi chiedo e vi chiedo: qual è il modo di affrontare e scongiurare l’eutanasia della normalità? Abbiamo, noi liberi muratori, gli strumenti per analizzare correttamente simili problematiche e per porci nella condizione di far sopravvivere il nostro pensiero al dilagare di simili disastri? La Libera Muratoria si è sempre opposta a forme di pensiero chiuse alla flessibilità, ma in questo caso è la flessibilità assoluta, direi liquida, che esclude il pensiero costruttivo. Forse, coloro che sopravviveranno al ventunesimo secolo avranno la possibilità di capire, grazie all’analisi retrospettiva offerta dalla storia, quello che oggi sta succedendo, ma per me il problema è vivere questo pezzo di storia e trovare il modo di adattarmi – o di reagire – a quello che accade, perché credo ancora che sia vantaggioso costruire, non distruggere.
L. Grimi
Francesco Doino dice
In un periodo di edonismo estremo – che passa dal linguaggio urlato ma
vuoto alla gestualità scomposta – un periodo in cui si rincorre solo il
sensazionalismo, l’ipotesi che si sia perso l’orientamento è molto
plausibile.
La “normalità” (come pure il buon senso) è una parola già difficile da
definire, implica il confronto e la comparazione di diversi criteri, ma il
comune sentire non si avvede della difficoltà e stigmatizza la parola con
una forte accezione negativa.
Viaggiamo così veloci che non possiamo vedere il paesaggio né tantomeno
arrivare alla meta, e la meta ci sfugge perché siamo già velocemente
proiettati verso la prossima meta.
Siamo dei viaggiatori distratti ma così distratti che non ricordiamo di
essere viaggiatori.
Credo che l’unica possibilità di ri-trovare la bussola sia quella di usare
i pochi spazi (il Tempio) in cui tentare di fermare la velocità per
riscoprire un dialogo vero con noi stessi e con l’altro/i.
Il pensiero liquido che ci pervade credo possa solo essere essiccato con il
fuoco, il Fuoco dello Spirito.
Dobbiamo, credo, recuperare la “semplicità dello sguardo” di plotiniana
memoria.
Francesco Doino
Renata caratelli dice
Articolo interessantissimo, capace di suscitare interrogativi e discussioni. L’Autore si definisce come persona tendente ad avere dubbi, ma non moralista. Si presenta come uomo di scienza che, essendo abituato all’esame del legame causa-effetti di un problema, è desideroso di comunicare ai suoi lettori alcune sue analisi sullo stato della società attuale. Il titolo dell’articolo “L’Eutanasia della Normalità” la dice lunga sul “risultato” della sua ricerca.
Tesi e controtesi: l’analisi del termine “normalità” (ciò che è conforme alla consuetudine; ciò che è più frequente, oppure, il suo contrario, cioè la “non normalità” sarebbe ciò che è contro la norma o regola) lo porta a esecrare gli orrendi delitti perpetrati nella storia in nome della normalità stessa. Simbolo della “anormalità” è dall’Autore indicata la “Malattia” intesa come concetto sociale. A questo punto l’Autore conclude (con a mio parere un piccolo iato logico), che nella nostra società: “…l’odierna malattia,[il Covid 19?] con tutti i connotati negativi ad essa connessi, è proprio la normalità”. Ma perché la società è malata? Perché è malato l’Uomo e il clamore dei media porta il “Vissuto soggettivo” a diventare “Modello oggettivo”. A questo proposito, mi sono domandata se l’esempio del ragazzino nato nel Nebraska, grazie alla maternità supportata dalla nonna, secondo l’Autore ci debba fare paura perché è “una donna 61.enne” che partorisce il figlio del figlio “gay” con l’intervento della sorella del “partner gay” del figlio (a Roma il popolo direbbe “figlio di una cooperativa”) oppure perché questo avvenimento, diciamo di amore estremo, possa fare da battistrada e creare una “consuetudine”, quindi una “normalità, che a noi sembra inaccettabile? Perché allora? siamo noi moralisti? La “normalità” sarebbe che ci siano solo due sessi? In ogni caso l’imitazione di questo episodio sembra assai improbabile, se non altro a causa dell’età delle nonne, che ormai sono sempre più attempate. Per quanto ne so, invece, il ricorrere alla maternità surrogata è stato, ormai, in molti Paesi regolato dalla legge e quindi, ci piaccia o no, là dove è ammesso deve considerarsi normale.
Molte altre cose interessanti scrive l’Autore. Quanto al suo interrogativo finale se la Massoneria possieda “gli strumenti” per ristabilire quella auspicata “normalità” al di fuori della quale tutto è caos o anarchia, mi sembra che la risposta sia semplice. E l’Autore stesso che ce la dà. Mettendo al centro della sua ricerca l’Uomo e l’Umanità, la Massoneria ha fatto suo da sempre il concetto di Protagora “l’Uomo misura di tutte le cose”, che l’Autore di questo articolo ci dice essere alla base del suo pensiero personale. Il relativismo culturale fa parte della storia dell’Umanità ed è lo spunto di riflessione sulla Tolleranza, principio portante della Massoneria e insieme strumento che il Massone che compie bene il lavoro su di sé, usa nella costruzione del mondo.
Renata Caratelli
Antonino Nicolosi dice
Noi dovremmo sempre essere contrari alla normalità. O meglio la normalità dovrebbe essere il rispetto delle regole sociali, come frequentare le scuole, l’università, partecipare alla vita sociale, scegliere il proprio credo e così via. L’importante è come partecipare. Nulla è cambiato nei secoli, come nulla è cambiato per gli iniziati ed i massoni in particolare. È la forza del “metodo” che i massoni mettono in ogni fase della vita, un processo costruttivo basato sul dubbio, combattendo i luoghi comuni, evitando che le margherite non vengano falciate dal taglia erba . Il prato inglese è bello a vedersi ma rappresenta la normalità e l’uniformità. Non bisogna confondere ciò che è ordinato con freddezza e senza un travaglio con una costruzione che tende alla perfezione. Il travaglio il dubbio, l’apprendere, con consapevolezza, porta a quella bellezza che accende la seconda luce dell’apertura dei lavori in grado di apprendista. L’evoluzione sociale è una sovra struttura, che spesso copre la vera anima, la vera essenza frutto del “prezzo” del nostro metodo applicato, che cerchiamo incessantemente di portare avanti. La scienza, “crea” la scissione dell’atomo, la fecondazione artificiale o i mezzi volanti. È il sogno dell’uomo, quello di disporre di una energia costante (scissione dell’atomo) , di preservare l’eventuale estinzione dell’umanità (fecondazione artificiale) o vincere la forza di gravità (con gli aereomobili), cos’è? Un tentativo di avvicinare o meglio ricongiungere l’uomo a quella unità a cui tentiamo sempre di arrivare. Sorprendersi dell’uso diverso delle scoperte scientifiche, come la bomba atomica, l’utero in prestito per la fecondazione artificiale, rappresenta un limite dell’uomo che giudica, in maniera solo emozionale, limite non consono agli iniziati. Le contraddizioni come il fratello Allende trucidato dai fratelli americani, o il provincialismo nel modo di giudicare alcuni aspetti “esteriori” della società di oggi, non sono plausibili con un metodo che dovrebbe equilibrare la passione con la razionalità e con l‘evoluzione del pensiero. Se la normalità deve essere sciatteria, se non si permette alla margherita di crescere, non avremmo mai avuto un Mozart, ritenuto un non convenzionale, o ancora avremmo pensato che il sole gira attorno alla terra. Chi non si meraviglia o non sa “leggere” i tempi d’oggi, dovrebbe riprendere la nostra funzione e ricordarsi che un viaggio, nei secoli, tra un luogo all’altro della terra ha una durata che varia sempre, mentre il “viaggio” dell’uomo non cambia mai!
Nino Nicolosi
Vinicio Serino dice
Questo importante contributo intorno al concetto di normalità apre a due categorie del pensiero legate alla dimensione del cambiamento: il gusto e quindi l’opzione per l’insolito, lo stravagante, il “non normale” e, strettamente connessa, l’operazione – molto rischiosa – di messa in discussione di valori, nella prospettiva di un cambiamento futuro di principi ispirativi dei comportamenti individuali e collettivi (già) ritenuti intangibili. L. Grimi ha rappresentato molto efficacemente questo (preoccupante) fenomeno, confermando, indirettamente, la tesi c.d. della finestra di Overton, dal sociologo americano Joseph Overton (1960-2003) che la elaborò.
Secondo Overton è possibile, attraverso precise e mirate tecniche di persuasione, veicolare qualunque idea – ivi comprese quelle ritenute inaccettabili all’interno di una data dimensione sociale – fino a renderla, attraverso una serie di passaggi diversi, tutti eterodiretti da menti abili e raffinate, ammissibile e perfettamente legale. La “finestra” si “affaccia” dunque su una gamma di possibilità che si aprono ai manipolatori intenzionati a modificare concezioni del mondo, modelli di comportamento, persino ideali da sempre considerati immodificabili. Si tratta di una serie di veri e propri stadi in progress che Overton identifica attraverso questi (eloquenti) aggettivi:
1° all’inizio l’idea nuova che si vuole proporre è giudicata inconcepibile (unthinkable), e quindi inaccettabile;
2° attraverso una prima “soft” azione di persuasione questa idea può però essere intesa, non più come inconcepibile, ma come estrema (radical), ossia vietata anche se con qualche (iniziale) riserva;
3° sviluppando il lavoro di ingegneria comunicazionale l’idea può, successivamente, diventare accettabile (acceptable), e quindi oggetto di umana comprensione da parte di strati sociali sempre più vasti;
4°) un altro sforzo ed ecco che quella idea si manifesta, e quindi viene percepita, come ragionevole (sensible): i destinatari del messaggio ci stanno … ripensando;
5°) ancora uno step, ovviamente prodotto da un mirato ed efficiente “bombardamento” mediatico, e l’idea, prima negletta e respinta, diventa popolare (popular), ossia socialmente accettabile;
6°) conseguito il traguardo della popolarità della idea è un gioco da ragazzi giungere all’ultimo stadio, la sua legalizzazione (policy)…
Il lavoro di L. Grimi è dunque una intelligente e meditata conferma delle tesi di Overton. Cosa si può fare allora, per impedire che venga perduta la normalità, quella saggia, consolidata, espressione della sapienza ancestrale, maturata attraverso la lunghissima storia evolutiva della nostra specie? Usando due categorie tipiche della condizione di uomini liberi e di buoni costumi: il dubbio, da instillare in primis su chi si lascia affascinare da idee, teorie, concezioni seducenti, ma teoricamente capaci di minare alle fondamenta l’idea stessa di Uomo, il quale, come dice J. Monod ne “il caso e la necessità”, si caratterizza per la possibilità di scegliere tra due strade che conducono a mete molto diverse, ossia “il Regno e le tenebre”. E l’azione, il lavoro senza sosta che, secondo le regole della armonia pitagorica, deve servire per scavare oscure e profonde prigioni al vizio ed elevare, di riflesso, templi alla virtù.
L’amico Grimi ci ha dato un esempio di come questa operazione sia fattibile e auspicabile. E saggia. “Sapere aude”, sentenzia Orazio nelle sue Epistole. Lo conferma Kant facendone il motto dell’Illuminismo…
Vinicio SERINO
Salvatore Zappalà dice
Noto un certo pigro conservatorismo nell’articolo. Ogni epoca ha avuto i suoi argomenti di scontro o questioni che hanno messo in crisi, la presunta “normalità”. Tutti i conservatori del mondo hanno bollato come “anormali” o “immorali” pratiche che non gradivano e che poi sono entrate nell’uso comune.
Purtroppo la nostra è una società fortemente tecnologica e in piena accelerazione. Bisogna innanzitutto cambiare atteggiamento: tra il bianco e il nero, non ci sono grigi, ma colori e sfumature di colori. Al concetto di alterità come separazione (dentro/fuori), dobbiamo sostituire quello di ibridazione: ibridazione tra i sessi, tra l’uomo e la macchina, tra il reale e il virtuale.
La tecnologia ha ridefinito molti concetti legati al sesso, alla morte, alla fecondazione. Ci vuole un paziente e aperto dibattito su tutte queste questioni, e sperare che tutti coloro che partecipano al dibattito siano in buona fede.
Penso sia stucchevole ripetere la solita litania dei conservatori contro tutte le novità. Ogni epoca ha i suoi nodi problematici e le sue questioni dibattute. Ogni epoca ha dato anche giustificazione più o meno razionali a determinati comportamenti.
Nell’antico Medio Oriente un argomento dibattuto era la pratica dell’incesto nelle corti egiziane. Avevano centinaia di eunuchi e nessuno si poneva alcun problema in merito a questa pratica che oggi noi consideriamo negativamente. Platone si scagliava contro l’indisciplina delle famiglie e la libertà dei giovani a scuola. Si scandalizzava delle critiche alla schiavitù e diceva che la società stava andando alla deriva. Sono passati ben 25 secoli e le società esistono ancora.
Per oltre un secolo e mezzo, durante il XVIII secolo, c’erano i cantanti castrati che sostenevano parti femminili e maschili. Nessuno si è mai scandalizzato più di tanto e questi cantanti si sono esibiti per re, papi e imperatori.
Nonostante tutte le lamentele dei conservatori il mondo è andato avanti lo stesso e ha preso magari strade nuove.
Le strade sono due: o affrontiamo di petto la secolarizzazione e ci lasciamo positivamente sfidare nella nostra quieta, piatta e MEDIOCRE normalità, o ci ritiriamo in un deserto senza tecnologia, farmaci, ecc., sperando che Google Earth non fotografi il nostro alloggio.