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L’acacia nella tradizione e nella Massoneria

9 Gennaio 2021

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Blossoming Acacia Branches, Vincent van Gogh 1890
Blossoming Acacia Branches – Vincent van Gogh – 1890

Storicamente, le religioni hanno sempre adottato una pianta come simbolo dei loro misteri: l’edera durante la celebrazione dei Misteri di Dioniso, l’erica per quelli di Osiride o la lattuga per quelli di Adone. L’olivo simboleggia ancora oggi la pace, la palma è legata al trionfo e alla resurrezione dei primi martiri cristiani, una rivisitazione dell’antico mito che legava la fenice alla palma e simboleggiava così l’immortalità. Il loto, una pianta venerata dal Mediterraneo alla Cina, era considerato, nell’India brahmanica, come il simbolo della trinità elementare, terra, acqua, aria e per i Buddisti, è l’emblema stesso di Buddha. Potremmo andare avanti all’infinito.

In passato le piante hanno sempre occupato un posto speciale nelle cerimonie funebri. Infatti, in ogni momento e in tutti i continenti, durante i funerali, le persone che formavano il corteo funebre erano solite sfilare tenendo in mano una palma o un ramo di pianta perenne. Secondo il tipo di religione, in caso di incenerimento queste piante venivano poste sul rogo o se si procedeva all’inumazione del defunto, esse erano collocate intorno alla sepoltura per indicarne il luogo. Gli Ebrei conficcavano sempre un ramo verde, acacia o cipresso, nel terreno dove qualcuno era stato appena sepolto, per segnalare ai passanti che il luogo, per la presenza del cadavere, stava diventando impuro o tabù. D’altronde noi continuiamo ancora oggi ad organizzare allestimenti floreali ai funerali e, nel Sud, la notorietà di un defunto si misura spesso dal numero di omaggi floreali che ha ricevuto.

Senza distinzione di specie botanica, le spine sono sempre state di particolare importanza simbolica. Pungendo, infatti, spargono sangue, atto essenziale per garantire l’esistenza e la continuità della vita. Lo testimoniano gli antichi sacrifici e lo scambio di sangue durante certe cerimonie rituali. La corona di spine di Cristo, fatta di acacia, annunciava la sua risurrezione e la sua regalità spirituale. Fu da questo stesso legno che Mosè ricevette l’ordine di costruire l’Arca dell’Alleanza e gli altri oggetti sacri. È vero, certo, che nel deserto non aveva altra scelta di questo povero arbusto che cresceva abbondantemente in quelle condizioni climatiche. Si noti per inciso che, nell’Esodo e nel Deuteronomio, l’acacia è denominata con la parola ebraica “seyal”, cioè con la forma plurale della parola “acacia”. Il singolare” shittah,” è usato solamente una volta da Isaia e significa approssimativamente “il fuoco della conoscenza nascosta“, che ci ricorda le qualità di Hiram Abif, maestro forgiatore e cesellatore del bronzo. La Genesi ci dice che Abramo ne piantò un boschetto a Beer Sheba, invocando il nome di Dio, cosa che suggerisce la sacralità dell’acacia. La leggenda narra che quando Giacobbe andò in Egitto, ne portò con sé alcune piante.

Molte culture e religioni antiche hanno esaltato l’albero di acacia e il suo legno, attribuendogli un valore sacro e associandolo all’immortalità degli Dei. Così, in India, il mestolo sacrificale attribuito a Brahma è fatto di legno di acacia. L’acacia era utilizzata nella fabbricazione dei “rombi” (o bullroarer), uno dei più antichi strumenti musicali rituali, addirittura paleolitici. Ancora in uso in Mali presso i Bambara, questi strumenti sono formati da strisce ovali di legno tagliate dal bordo ricurvo di un ramo e poi attaccati all’estremità di una corda che, roteata rapidamente, fa vibrare l’aria, producendo un fragore, atto nell’intenzione dei fedeli ad attirare l’attenzione del dio o degli dei invocati.

Tra gli Egizi, l’acacia, detta “ished”, che significa, come già  detto, “che dona felicità”, era considerata un albero sacro sulle cui foglie gli scribi divini, il dio Thot e la dea Seshat, scrivevano i nomi del Faraone per augurargli lunga vita e prosperità. All’interno dei sarcofagi è rappresentata la dea Nut, spesso accompagnata dalla dea Hathor, sovrana delle stelle e dalla leonessa Sekhmet, che dà alla luce il Faraone e gli dona l’immortalità. Da queste tre dee, portatrici dell’immensità dell’abisso dei morti e della forza, le sacerdotesse della “Casa dell’Acacia” costruita vicino alle necropoli, ricevevano i loro poteri sull’integrità dei corpi e sulla liberazione delle anime, permettendo al defunto che accompagnavano, di fondersi in un nuovo Osiride.

Ogni rito si basa su un mito fondante la cui origine si perde nella notte dei tempi.  Così è stato con l’acacia, che nasce nella simbologia della Libera Muratoria con l’origine della Massoneria speculativa, cioè intorno al 1730.

Il leggendario architetto del Tempio di Salomone, Hiram Abif, assassinato dai tre malvagi compagni che volevano indebitamente ottenere la parola del Maestro, venne sepolto di notte dai suoi assalitori, che piantarono un ramo di acacia sul tumulo. Indizio che aiuterà a trovare i resti del Maestro. È curioso che gli assassini, che avrebbero dovuto voler nascondere il loro crimine, segnalassero così la sepoltura.  L’acacia acquista così una doppia valenza, come quegli strumenti di costruzione (la squadra, il righello e il mazzuolo) usati dagli assassini per uccidere, dunque per distruggere.  Allo stesso modo questo ramo di acacia, conficcato nel terreno come segno del riconoscimento della salma, diviene il segno del Maestro, incarnazione di Hiram. E non a caso nella simbologia muratoria interviene il Triangolo a conciliare gli opposti.

Cosa significa per noi la presenza di questo ramo? La sua natura imputrescibile. Il fatto di essere un sempreverde rimanda ovviamente all’immortalità, in pieno accordo con la leggenda di Hiram. Ma se scaviamo in questa interpretazione, non possiamo non vedere un’analogia con l’albero della vita nel giardino dell’Eden della Genesi: “l’Albero della Vita” in mezzo al giardino della conoscenza del bene e del male. L’albero e il legno sono da sempre associati al mondo. Quindi non è un caso che Gesù fosse figlio di un falegname. L’albero con le sue radici che si tuffano nel cuore della terra, con il suo fogliame che arriva fino al cielo, è un ponte tra i mondi e una guida nel cuore delle tenebre.

L’albero della vita era chiaramente destinato a garantire l’immortalità dell’uomo; il fatto che l’albero della conoscenza sia rappresentato vicino ad esso è una somiglianza inquietante con la formula massonica: la conoscenza si trova all’ombra dell’albero di acacia. Dovremmo dedurne che la conoscenza è immortale? Dato che sta riposando, significa che ha bisogno di essere svegliata? E infine, dove può riposare se non in noi stessi? Può essere risvegliato solo quando la carne lascia le ossa, quando l’uomo ha la consapevolezza di ciò che è materia e di ciò che è spirito, il che è simboleggiato dal compasso posto sulla squadra. La loggia, il sé collettivo dei Massoni, li aiuta a riscoprire la loro unità, elevando il Maestro attraverso i cinque punti perfetti della maestria.

L’Arca dell’Alleanza era fatta di acacia ricoperta d’oro puro. Dopo aver viaggiato tra le tribù ebree nomadi, l’Arca trovò il suo posto nel Sancta Sanctorum del Tempio di Salomone. Nella lettura massonica il Tempio è in ogni Iniziato, proprio come il Sancta Sanctorum e l’arca che contiene. Il Massone deve soltanto riaccendere la scintilla della conoscenza che giace assopita nel profondo della sua mente e di cui spesso ignora esistenza.  Spesso le vicissitudini della vita allontanano l’uomo dalla percezione della sua realtà interiore. Il percorso massonico lo aiuta a risvegliare questa consapevolezza, perché la conoscenza è immortale. In occasione della sua elevazione a Maestro, il Compagno risponderà alla domanda “Conosci l’acacia?” con “L’acacia mi è conosciuta”. Il Maestro potrà diventare così la guida per gli Apprendisti e i Compagni della sua Loggia nella perpetua ricerca della Verità

Vorrei concludere questa presentazione raccontandovi una piccola storia che ho letto nella rivista “Science et Vie”. In Kenia, per impedire che le acacie fossero divorate dalle giraffe, è stato installato un costoso sistema di barriere, che, però non è stato possibile impiantare intorno a tutte le acacie. Tuttavia, le acacie protette appassirono e poi morirono allo stesso modo di quelle non protette. Alla fine i biologi riuscirono a capire che la colpa era delle formiche. Infatti le simpatiche “formiche crematogaster acaciae” in natura si occupano di proteggere le acacie: divorano le larve di insetti parassiti del bosco e pungono le bocche di giraffe ed elefanti che vogliono mangiare le foglie. Le acacie offrono alle formiche, in cambio, il dolce nettare delle loro foglie e il riparo nelle spine cave dell’albero.

Ma, non appena le barriere hanno cominciato a tenere lontani le giraffe e gli elefanti, le acacie, rilassate e rassicurate, sono diventate pigre, e hanno prodotto un minimo di spine e nettare; per conseguenza, più di un terzo delle formiche, non trovando più il nutrimento e la protezione, hanno abbandonato gli alberi di acacia, lasciandoli alle prese con i loro parassiti.

Morale della favola: la formica, non è quel piccolo insetto che lavora instancabilmente? Allo stesso modo delle formiche il Massone è chiamato a proteggere la sua acacia con instancabile perseveranza e vigilanza.

Clara Foatelli

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Ennio Manzo dice

    9 Gennaio 2021 alle 14:33

    Mi complimento per la tavola. Mi piace aggiungere una riflessione: l’acacia cui mi riferisco è la caggia, pianta spinosa che produce un fiore globoso, giallo, molto odoroso; foglie che si aprono in presenza della luce, per richiedersi col buio; radici puzzolenti come la putrefazione.

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  2. Antonino Rampulla dice

    10 Gennaio 2021 alle 10:29

    Mi complimento con l’autrice per l’accurata importante rivisitazione della letteratura che riguarda questa pianta. Puntualizzando alcuni concetti, ci spinge alla ricerca per gettare uno spiraglio di luce in più sul buio che offusca la conoscenza. Tra i molteplici importantissimi aspetti che si possono cogliere da tale esposizione, non sfugge al lettore il simbolismo dell’acacia. Le immagini evocative, che vengono fissate minuziosamente dalla lente dell’autrice ,bussano alla nostra memoria e riflettono ,con luminosità ,schegge di letture fatte in passato a proposito di questa pianta e si tramutano in memoria recente, viva da cui risalta una verità inconfutabile che contribuisce a caratterizzare l’acacia, come simbolo dell’esigenza dell’uomo massone a non dimenticare il messaggio iniziatico che rappresenta. Noi siamo Massoni, siamo alla perenne ricerca della verità, verità del passato, verità del presente, verità del futuro. Quella verità che ci porta a scoprire la Luce. Grazie ancora all’autrice

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