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Riflessioni in chiave massonica

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LABIRINTI

7 Novembre 2020

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«Nel labirinto non ci si perde,
Nel labirinto ci si trova.
Nel labirinto non si incontra il Minotauro.
Nel labirinto si incontra se stessi»
Herman Kern

Il labirinto è un archetipo diffuso in tutto il mondo e in tutte le culture: come modelli archetipali sono interessanti quelli della civiltà dei Camuni, graffiti rupestri della Val Camonica che coprono tutto l’arco cronologico dell’età del Ferro.

Rappresentazioni del labirinto si trovano in varie epoche, ne indichiamo solo alcune che, a nostro avviso, individuano un fil rouge che accompagna questo simbolo.

Il più antico labirinto europeo, situato in una chiesa cristiana, si trova nella chiesa di San Vitale a Ravenna, e risale al VI secolo.

Nel Medioevo le più famose rappresentazioni del labirinto si trovano sul pavimento delle cattedrali gotiche, delle quali la più celebre è sicuramente quella della cattedrale di Chartres, in Francia.

I percorsi del labirinto delle cattedrali, chiamati anche Chemins à Jérusalem, erano considerati dei sostituti del pellegrinaggio in Terra Santa; bisognava percorrerli in ginocchio, con un rosario al collo, pregando per la salvezza della propria anima.

Il labirinto di Chartres – uno dei meglio conservati e in assoluto il più grande giunto dall’epoca medievale ai nostri giorni –  complessivamente raggiunge il diametro di 12,87m, mentre il suo percorso interno è lungo 261,5 m. Il suo classico disegno circolare ha un’entrata, un percorso ed un punto di arrivo al centro.

Il centro del labirinto viene raggiunto da colui che è iniziato, da colui che, attraverso una serie di prove, avrà dimostrato di essere degno di accedere alla rivelazione misteriosa.

Il labirinto ha anche un significato solare. Nella tradizione cabalistica ha una funzione magica ed è uno dei segreti attribuiti a Salomone; nella Bibbia ne viene descritto uno posto nel cortile davanti al Tempio di Salomone. Per questo motivo alcuni labirinti presenti nelle cattedrali, costituiti da una serie di cerchi concentrici interrotti in alcuni punti, sono chiamati “Nodi (o labirinti) di Salomone”. Secondo gli alchimisti il percorso conduce all’interno di se stessi, verso una specie di santuario interiore e nascosto. L’arrivo al centro introduce in una dimora invisibile, che ciascuno può immaginare secondo il proprio intuito. All’interno di questo centro si opera una vera e propria trasformazione dell’Io, che si afferma sulla via del ritorno, nel passaggio dalle tenebre alla luce.

Molto interessanti sono anche i pregiati pavimenti del complesso monumentale di Castel Sant’Angelo a Roma, negli appartamenti papali di Paolo III Farnese, e in particolare il pavimento in cottodella Sala del Tesoro, con un disegno labirintico al cui centro erano collocati gli enormi forzieri (fatti costruire da Sisto V) contenenti il tesoro del papa.

Un ulteriore esempio è costituito dal giardino di Villa Lante a Bagnaia: qui lo sguardo del visitatore viene inevitabilmente rapito dalle piccole siepi di bosso simmetricamente disposte a dar vita all’intricato disegno del labirinto. Lo splendido giardino all’italiana che si dischiude davanti agli occhi vuole essere in questo caso una riproposizione, in dimensioni più ampie e percorribili, del simbolo della graticola di san Lorenzo, riproposto anche nella fascia decorativa presente nel sottotetto della palazzina Gambara, la prima a essere costruita nel complesso residenziale.

L’intrecciarsi delle siepi del giardino, che rimandano alla graticola quale strumento del martirio di san Lorenzo, e la struttura circolare della fontana, ispirata all’architettura della chiesa di Santo Stefano Rotondo in Roma, vengono utilizzate, nel percorso fisico e spirituale immaginato dal cardinal Gambara, come simboli di estrema testimonianza di Fede e come chiave di accesso ad una vita di Grazia. Anche l’acqua che zampilla da questa complessa architettura è utilizzata come metafora di un percorso di purificazione che al termine del viaggio condurrà il visitatore alla Gerusalemme Celeste e alla salvazione.

Gli esempi di declinazione del simbolo del labirinto non hanno fine (invitiamo i più curiosi a vedere anche il dipinto di Bartolomeo Veneto Ritratto di gentiluomo, 1510 ca., Cambridge, Fitzwilliam Museum) e si arriva anche alla contemporaneità, con il Labirinto della Masone nel giardino della villa di Franco Maria Ricci a Fontanellato.

Adesso entrando nel significato simbolico non possiamo non partire dagli elementi cui il mito cretese allude.

Il percorso è interiore quindi occorre spostare l’attenzione all’interno, in altri termini la via degli iniziati segue l’ammonimento del tempio di Delfi: nosce te ipsum. Affinché il processo sia possibile occorre il filo di Arianna, questa è l’anima purificata, che sa e che quindi può guidare, perché sconfiggere il mostro significa liberare le energie bloccate dai conflitti irrisolti, dalla stessa identificazione delle maschere dell’ego a cui corrispondono i rinneghi divenuti maligni perché non accolti. Senza la conoscenza di sé, senza la discesa negli inferi interiori l’eroe non conquista la sua divinità, non rinasce trasformato.

A questo punto ci consentiamo quella che a nostro avviso è solo una apparente digressione, indirizzando la vostra attenzione (consapevole della vostra pazienza) al gioco dell’Oca, che per i meno giovani probabilmente è un gioco familiare alla memoria.

Bene, secondo Fulcanelli (Le Dimore Filosofali), il Gioco dell’Oca è «un labirinto popolare dell’Arte sacra e una raccolta dei principali geroglifici della Grande Opera».

La sua struttura a spirale, ripartita in 63 tappe in cui ricorrono alcuni simboli fissi, conduce verso il raggiungimento del centro, del “giardino dell’oca”, meta di un cammino sapienziale iniziatico.

È interessante notare innanzitutto che la spirale del gioco si svolge sempre in senso sinistrorso, come ad indicare che il raggiungimento del centro va inteso nel senso di una “via del ritorno”, di una risalita verso l’origine, verso l’Uno.

L’oca che dà il nome al gioco è un animale tenuto in grande considerazione da molti popoli antichi, a partire dagli Egizi per giungere ai Greci. I Romani avevano affidato alle oche il compito di vegliare sul tempio di Giunone, nel Campidoglio. Per i Celti, il palmipede era simbolo dell’aldilà e guida dei pellegrini, ma anche simbolo della Grande Madre dell’Universo. Le regole del gioco si conformano a questa valenza sacra dell’animale, sottolineando il suo ruolo di “guida provvidenziale”: capitare su una casella contrassegnata da un’oca permette infatti di abbreviare il percorso, raddoppiando il punteggio ottenuto.

Tornando, dopo quanto sin qui detto, crediamo si possa comprendere meglio quanto scritto negli antichi rituali massonici laddove veniva scritto: «il centro del cerchio è il punto in cui un massone non può perdersi».

Giunti alla fine non possiamo che reiterare l’invito del poeta persiano Jalāl ad-Dīn Muhammad Rūmī (1207-1273): «Di là dalle idee, di là da ciò che è giusto e ingiusto, c’è un luogo. Incontriamoci là».

Francesco Doino

Ignazio Moroni

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Vinicio Serino dice

    7 Novembre 2020 alle 12:51

    Davvero interessante e ricco di suggestioni questo lavoro di Doino e Moroni sulla forma archetipica del labirinto. Vorrei aggiungere, in proposito, una citazione tratta dal lavoro di uno dei miei maestri, il grande filologo Giovanni Semerano, profondo conoscitore delle antiche culture mediterranee. “La scoperta delle civiltà, delle lingue mesopotamiche, come il sumero e l’accadico, alle quali si è aggiunta recentemente la testimonianza di Ebla” diceva appunto Semerano oltre trent’anni fa, nel suo ponderoso ‘Le Origini della cultura europea’, come pure “ … la presenza di genti e culture semitiche nel Mediterraneo … sino dal III millennio a.C., la impossibilità di trovare per le voci greche e latine una plausibile origine, guidano alla generale conclusione che le nostre lingue denominate indoeuropee, con termine di gusto romantico, sono solo forme evolutive, germogliate su un robusto tronco mediterraneo”. Secondo Semerano, dunque, sia il greco che il latino sarebbero fortemente tributarie delle lingue di queste antiche civiltà sorte tra il Tigri e l’Eufrate: ed una delle parole che denuncerebbe meglio, a suo avviso, questa “ discendenza” è proprio labirinto , laburinthos in greco, labyrinthus in latino. In genere si sostiene che il termine abbia origine dalla voce, di origine lidia, labrus, ascia, attestata da Plutarco e designante l’ascia bipenne, simbolo dei signori di Creta e della potenza di Giove Ideo. Ma Semerano propone un’altra pista – che indirettamente confermerebbe la valenza iniziatica del labirinto – partendo dalla constatazione “che i Babilonesi disegnavano nelle tavolette lo schema del groviglio degli intestini”, appunto “ nella forma del labirinto … Gli intestini erano denominati ekallu, palazzo, la grande casa dei segni caratteristici per divinare il futuro, rappresentata, appunto, come una specie di labirinto”: i meandri di questo “palazzo” evocherebbero allora il seno della Grande Madre che dona la vita alle proprie creature per raccoglierle nuovamente nel suo grembo al termine del loro ciclo vitale. In tal modo la parola potrebbe spiegarsi con riferimento a due termini accadici – la lingua mesopotamica discendente dal sumero – ossia labu (muoversi in cerchio) e irtu (seno) e irru (intestini). Il labirinto sarebbe quindi, da questo punto di vista, l’immagine stessa del movimento della vita …. Del tutto coerente con la citazione che Doino e Moroni propongono a proposito della credenza (saldamente) accolta dagli alchimisti, per i quali, appunto, “il percorso conduce all’interno di se stessi, verso una specie di santuario interiore e nascosto”.
    Vinicio Serino

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  2. Giuseppe Carbone dice

    20 Dicembre 2020 alle 15:03

    Articolo delicato e intenso come una carezza sincera. Profondo e vibrante , chiaro e senza fronzoli. Ha suscitato in me costruttivi quesiti. Chissà quali sensi mi consentono di percepire la forma del labirinto , di intuire in Lui il mio riflesso, di creare il Labirito costituendo il ” perché ” ..? Giuseppe Carbone

    Rispondi

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