
La Repubblica” di Platone (428 – 348 a.C.) è l’opera filosofica in dieci libri, scritta in forma di dialogo verosimilmente tra il 390 e il 360 a.C., universalmente riconosciuta come fondamentale per la storia del pensiero e della cultura occidentale. Nel libro VII si immagina un dialogo tra Socrate e il discepolo Glaucone sul tema della ricerca della verità. Per semplificare l’espressione delle proprie idee, il grande filosofo ateniese ricorre al “mito della caverna”, un racconto metaforico della condizione umana rispetto alla conoscenza della realtà.
I protagonisti sono alcuni schiavi sin dalla nascita incatenati, mani e piedi, in una profonda e tetra caverna, e condizionati nella visione, potendo volgere lo sguardo solo su quella porzione di parete dove un fievole raggio di luce penetrato attraverso l’apertura proietta ombre fugaci di oggetti mossi all’esterno. Un modus vivendi surreale non solo perché inficiato dalle terribili condizioni di vita, ma anche dall’assenza di informazioni sul mondo esterno e sulle attività che vi si svolgono e dalle ombre, gli unici simulacri a dare corpo ad una pseudo realtà.
Ribellarsi ad un tale sovrumano stato di prigionia equivarrebbe a cimentarsi con notevoli difficoltà, dalla liberazione dalle catene, alla funzionalità nervosa e muscolare del corpo rattrappito, al dolore degli occhi accecati dalla luce diretta.
Malgrado tali oggettive difficoltà, un prigioniero, sotto la spinta dello spirito di ricerca, e senza il timore di farsi sopraffare dagli ostacoli, osa violare l’ordine delle cose per allargare il proprio orizzonte ben al di là dei limiti della caverna. Da uomo libero inizia ad inoltrarsi nella via della conoscenza, ma l’approccio alla realtà non è dei più facili. Tuttavia, superato il periodo di adattamento ambientale, egli comincia a rendersi conto di quella realtà di cui prima intendeva solo le ombre, ed a prendere coscienza del mondo della natura. La contemplazione del grandioso spettacolo naturale che appare ai suoi occhi lo indennizza per le forzate condizioni di vita sinora vissute.
La prosecuzione del racconto lo descrive commiserante i compagni di prigionia che vivono nella convinzione di valutare quelle semplici ombre come la sola verità possibile, e spinto dall’istinto filantropico-umanitario, decide di tornare da loro per renderli partecipi della sua scoperta, sradicare le credenze fondate su presupposti illusori, convincerli a rompere le catene e uscire fuori per rinascere a nuova esistenza e apprendere il modo ed il significato del vivere umano. Però gli schiavi, abbandonati supinamente all’omologazione e al conformismo, respingono l’idea di avere finora osservato una realtà ingannevole, e con malcelato fastidio cercano in tutti i modi di indurlo a rinunciare ai suoi fermi proponimenti, finché, esasperati dalla sua ostinazione, lo uccidono.
Il simbolismo sottinteso nel fatto narrativo lascia intuire la filosofia platonica della conoscenza. Gli schiavi incatenati rappresentano la condizione dell’individuo condannato ad acquisire la conoscenza del mondo attraverso la proiezione degli oggetti reali (le ombre) recepita attraverso i sensi, detta appunto conoscenza sensibile (doxa), ovvero l’opinione, teoricamente vera soltanto in apparenza. Mentre la conoscenza che assicura l’intendimento certo e incontrovertibile della realtà è quella che ha per oggetto il mondo delle idee (epistème), cui si perviene o razionalmente (diànoia) cioè attraverso il ragionamento discorsivo-scientifico tipico della matematica, della geometria e della fisica, oppure tramite l’intuizione (nòesis), il grado più alto del sapere, in quanto ha il suo fondamento appunto nella sfera intuitiva delle idee.
E per dar maggior autorevolezza alla sua tesi, Platone immagina che a raccontare il mito sia il suo grande maestro Socrate, – definito da Theodor Gomperz “il primo martire per la causa della libertà di pensiero” – nel 399 a.C. condannato a bere la cicuta per essere rimasto fermo nel convincimento di far percorrere il cammino verso la rigorosa conoscenza della verità a quegli ateniesi che pretestuosamente lo accusarono di corrompere la gioventù con dottrine atee e di fomentare il disordine sociale.
Circa 400 anni dopo, il comportamento degli schiavi davanti agli stimoli esterni che vorrebbero rendere loro i diritti umani, si attualizza in un evento collegato ad un’altra identità culturale che, come il grande filosofo greco, con le sue dottrine non scritte ha lasciato in eredità categorie di pensiero fondamentali per la costruzione di un mondo nuovo. Anche Gesù Cristo rivolgeva ai Giudei discorsi “rivoluzionari”, come quello riportato senza giri di parole nel Vangelo di Giovanni (8 – 32): “Se voi persevererete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli, conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi”, ma loro non hanno saputo accogliere il messaggio e lo hanno condannato alla crocifissione. Non si tratta di due episodi fortuiti; nel corso dei secoli eventi simili si sono succeduti come fenomeno di gruppo ostile alle proposte di cambiamenti sociali, culturali, religiosi e di indirizzo politico.
Visto sotto l’aspetto allegorico, il difficoltoso cammino del prigioniero verso l’uscita dalla caverna è il processo di graduale passaggio dall’illusione alla conoscenza della verità. Però a rifletterci, può riconoscervisi una antica procedura che scandisce la vita degli individui con una serie di passaggi da uno stato sociale o culturale all’altro, e tuttora presente nei vari gruppi umani. Con i riti di passaggio i candidati vengono sottoposti a prove che lasciano tracce indelebili, e che talvolta possono richiedere coraggio e vigore fisico, come nel caso delle società tribali in occasione dell’ingresso dei maschi e delle femmine nell’età riproduttiva, oppure impegno mentale, come nell’esame di maturità in Italia o nel Graduation Day in America, che sanciscono il passaggio dalle scuole superiori agli atenei o al mondo del lavoro. Altri riti di passaggio, invece, comportano prove simboliche che tuttavia inducono nei candidati cambiamenti radicali del proprio modo di vivere, come nel conferimento dei sacramenti nella liturgia cattolica e nella Iniziazione ai misteri massonici. Dal latino inire = entrare dentro, questa è l’incipit di un viaggio interiore con due traguardi intermedi distanziati nel tempo, che conduce l’uomo verso un nuovo stato coscienziale procedente su due piani paralleli correlati l’un l’altro: la ricerca esoterica che sta alla base del processo di conoscenza della verità (intesa in senso massonico), e l’elevazione spirituale e morale. Il risultato è il superamento dello status profano e l’acquisizione di quello massonico, cioè di Uomo di grandi doti umane, impegnato a lavorare alla costruzione di una società più giusta, ed il cui comportamento si ispira a principi di alto valore ideale quali tolleranza, libertà, eguaglianza e fraternità.
Ma le tenebre dell’ignoranza, del pregiudizio e del tornaconto, rimandano al rifiuto di comprendere la Massoneria e le sue finalità. Non è un mistero, infatti, la messa all’indice della Libera Muratoria da parte della Curia romana sulla base di una inconciliabilità dottrinalecon i Principi massonici, come anche le derive populiste di certe caste approdate ai Palazzi del Potere, incapaci di darsi un metodo democratico ed incuranti di quei principi costituzionali che il loro status impone di difendere, che si traducono in pesanti attacchi contro l’Ordine Muratorio e i suoi aderenti, e questo nell’assoluto silenzio dei garanti istituzionali. In un Paese libero e democratico i valori fondanti della tradizione libero-muratoria possono non convincere tutti, ma sono inaccettabili gli stigmi a una Associazione che “presta la dovuta obbedienza e la scrupolosa osservanza alla Carta Costituzionale dello Stato democratico italiano ed alle Leggi che ad essa si ispirano”.
È cambiato solo il finale dello stesso male: nel racconto di 2400 anni fa le rigide posizioni di chiusura contro chi cercava di portare fuori dalla caverna gli schiavi brancolanti nel buio si concludevano con la pena di morte, oggi con le persecuzioni. Il tutto a riprova che i canoni dedotti dal mito platonico, pur attraversando culture diverse, hanno sempre conservato quel carattere peculiare che ha consentito all’uomo di ogni epoca di trovarvi qualcosa di sommamente reale ed altamente educativa.
Vincenzo Pulvirenti
Arturo Pagnano dice
Articolo bellissimo che riassume in modo esaustivo la realtà e l’utilità dei riti di passaggio e come gli stessi sono utili allo sviluppo interiore dell’uomo. Platone ci ha indicato, tramite allegorie, la via da seguire. La stessa cosa, attraverso i secoli ha fatto la Massoneria. Purtroppo sembra che ci siano delle forze, contrarie, che fanno di tutto affinché l’uomo non si evolva. Complimenti all’Autore.
Vittorio dice
Buon articolo che fa una disamina sintetica e chiara di argomenti profondi ed interpretativi come sempre il Fr:. Pulvirenti sintetizza e semplifica ottima base da sviluppare per istruzione massonica .
Mauro dice
Quest’articolo stimola la riflessione del ruolo e del peso dei riti di passaggio nella Tradizione mediterranea. Si pensi alla ritualità eleusina, ma anche e soprattutto all’Apocalisse di Giovanni dove il Novizio Giovanni – come tutta l’Assemblea che lo accompagna – vive gli “scatti” di una vera e propria meta-morfosi da uno stadio coscienziale ad un altro, in un contesto dove il gruppo/assemblea ha un ruolo non secondario. E tutto ciò, con i dovuti distinguo, è arrivato sino a noi Massoni, tenutari (a volte inconsapevoli) di una lunga e “pesante” eredità…
Grazie all’autore: tre volte e di cuore
massimo dice
articolo molto interessante che tra luci ed ombre….sintetizza magistralmente il rapporto dell’uomo con la crescita del sé e della conoscenza.
purtroppo una volta ritornato alla caverna, l’uomo non venne creduto, gli altri prigionieri infatti, dubbiosi, stanchi e indispettiti dalla sua insolenza, decisero di ucciderlo, affinché venisse ristabilita la pace e venisse ripristinata quella prigionia che, in fondo, veniva tacitamente accettata da tutti. Speriamo che la sete di conoscenza prenda il sopravvento evitando il trionfo del buio e dell’ignoranza.
Filippo Calì dice
Non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi.
Leo Longanesi, uomo acuto e di grande sensibilità prima che giornalista e scrittore, morto alla fine degli anni 50, così sferzava gli italiani del dopo guerra. Li riteneva, infatti, incapaci di esercitare a pieno la libertà per la quale tanti avevano combattuto ed erano morti.
Libertà e verità sono sinonimi, non basta parlarne, bisogna avere il coraggio di esercitarle. Bisogna sentirle proprie, viverle interiormente e, se è il caso, quando richiesto, anche morirne. Essere liberi, interiormente, accettare la verità, anche quella più amara, è una pratica severa, prevede senso critico, volitività e, soprattutto, coraggio. Significa essere disposti a rischiare le proprie comode certezze e, se è il caso, quando richiesto, anche sfidare la corrente avversa, l’ironia ed il sarcasmo dei dileggiatori che scelgono di seguire il corso della corrente, pronti a colpire e ferire chi indica loro direzioni diverse, verità e libertà alternative.
Il mito della caverna, dopo duemilacinquecento anni, ci racconta, ancora, inesauribilmente, questo.
Ci suggerisce, ancora, ininterrottamente, come libertà e verità siano sinonimi di dignità e come solo gli uomini veramente liberi di accogliere la verità meritino di celebrare la propria dignità.
Grazie Fratello Enzo di avercelo ricordato.
Domenico Vittorio Ripa Montesano dice
E’ importante comprendere quale sia la natura umana e come nello scorrere dei millenni, sovente cambino alcuni aspetti esteriori lasciando immutata la sostanza.
Saper essere in grado di esprimere consapevolezza e comprendere il proprio ruolo aiuta ad essere liberi.
Il Libero Pensiero, atterrì monarchie ed assolutismi, ma ancora oggi rabbuia le menti di nuove caste e neo governanti, che dovrebbero avere il piacere di rileggere la storia ed approfondire l’operato di alcuni illustri uomini appartenuti alla Nostra Istituzione che sono morti, hanno subito la prigionia e l’esilio per farci dono della LIBERTA’ e del voto, oggi diritti un tempo chimere.
Antonino dice
Attraverso queste belle riflessioni di Vincenzo Pulvirenti, torna spontanea la memoria sull’interessante testo di Erich Fromm: “Fuga dalla libertà”, dove emerge l’incosciente tendenza a non valorizzare l’essenza profonda della più indispensabile esigenza dell’essere. Eppure l’uomo, aggrovigliato negli stereotipi del comprendere bene tutto, ritiene di procedere bene secondo quanto, in fondo, non si può concepire meglio di ciò che la società presenta, pur riflettendo che così non è. E così svanisce ogni forma di obiettività critica autentica. Forse, nonostante il “platonico” mito della caverna, dobbiamo lasciarci andare ritenendoci soddisfatti della nostra fatale assenza di capire sino in fondo. Un bravissimo all’autore che ha voluto spingerci a riconsiderare i nostri parametri di riflessione sull’esistenza e la società che l’uomo ha prodotto.
Nicola Piazza dice
ringraziare il Fr Paolo Battaglia per averci segnalato “il mito della caverna” nel blog del Fr Pulvirenti.
I temi e le varie sfaccettature di questo dialogo, immaginato da Platone tra il suo Maestro e Glaucone, ci restituiscono sicuramente gli alti valori umani di libertà e verità. Ma quello che più mi piace sottolineare, che ci coinvolge tutti direttamente, è il senso di comunione, di fratellanza e di crescita comune verso la libertà, contenuto in questo racconto.
Lo schiavo che ha avuto più di tutti il desiderio della ricerca oltre la caverna, non tiene per se questa possibile visione di futuro e di libertà, ma ritiene di doverla condividere con gli altri schiavi compagni.
“…………. spinto dall’istinto filantropico-umanitario decide di tornare da loro per renderli partecipi della sua scoperta, ………” ci dice Enzo Pulvirenti, con un temperamento che ci restituisce con convincimento le ragioni vere della fratellanza e del destino dell’umanità.
Nel ringraziare ancora Paolo, rivolgo a Enzo Pulvirenti i miei sentimenti di stima.
Nicola Piazza
Tony Mayo dice
Mi viene qualche pensiero ripassando il mito: “Scio me nihil scire”: so di non sapere niente. Così Socrate affrontò la cicuta.
Ma l’uomo preferisce le ombre. La realtà vera è solo quella. Aggrappiamoci a quella, escludendo errori…
Il mondo vuol convincersi che non c’è oltre da capire. Chi va al di là della caverna non convince. Le ombre restano la verità esaustiva della conoscenza…
E il mondo continua a valorizzare le ombre che niente dimostrano di un sicuro sapere…
Tony Mayo
Giovanni Gigliuto dice
Per non essere ripetitivo, non farò un plauso all’Autore (del quale mi onoro d’esser da Lui considerato più che un fratello, un Amico).
Vorrei però fare qualche osservazione, qualche appunto sul Suo lavoro, e certamente Enzo non me ne vorrà, anzi…
Vorrei sottolineare che considerare il mito della caverna di Platone come “rito di passaggio” mi sembra un po’ forzato. Già “rito” presuppone un’azione che ristabilisce il contatto con uno stato superiore dell’Essere, in cui la sequenza del tempo si annulla e si interrompe. Inoltre, il rito presuppone un Officiante e nel mito in questione non è contemplata tale figura. Semmai, si potrebbe inquadrare come un percorso – strettamente individuale – volto a raggiungere la realtà ultima, il ricollegamento all’arché.
In quanto alla ricerca della Verità, c’è da chiedersi: esistono allora tante verità, o queste non sono altro che riflessi che l’uomo riesce a cogliere? Ed ancora, è possibile imprigionare la Verità dietro le sbarre di una definizione? E innanzitutto, la Verità — intesa in senso di assoluto — esiste? O essa è un concetto astratto, indefinibile.
Se esistono tante verità, allora essa è solo il risultato d’una valutazione soggettiva. Ha forse ragione Protagora asserendo che l’uomo è la misura di tutte le cose, e che quindi l’adagio a ciascuno la sua verità non è affatto inverosimile.
Mi fermo qui per non tediare quanti hanno la pazienza di leggermi.
Nazzareno Prinzivalli dice
Non é un articolo: é un saggio!
Complimenti.
Giuseppe Amato dice
Pucci Amato
Il lavoro del fratello Enzo ci ricorda che oltre a dedicarsi alla ricerca della verità massonica, abbiamo il dovere di portare la luce a quei profani che hanno le giuste potenzialità per iniziare il cammino massonico