L’Io si costruisce una sua rappresentazione mentale che esclude le sue parti più remote (le sue parti in ombra) perché manca una vera conoscenza di sé stesso. Il condizionamento sociale fa sì che si seguano meccanicamente ruoli e abitudini con poco discernimento e poca libertà. Bisogna eliminare maschere ed ombra, poiché così si soddisfano e superano i bisogni di sicurezza e autoaffermazione e ci si dedica completamente ai bisogni di crescita e di autorealizzazione, superando, così, il bisogno di consenso e di apprezzamento degli altri ed acquistando il coraggio di essere completamente se stessi, responsabili verso la propria vita.
È necessario sostituire la compassione al posto del giudizio e il perdono al posto della rabbia e fare esperienza con poche persone amiche, che si riuniscano a formare un piccolo circolo di empatia e di identificazione in costante miglioramento ed espansione.
Occorre distinguere la conoscenza intellettiva dalla realizzazione spirituale; infatti l’erudito è un “ignorante istruito” che non fa che insuperbire il proprio io; l’erudito ostenta il suo sapere come fosse conoscenza spirituale ma, anche se è bravo nel parlare e nello scrivere, nella vita di tutti i giorni egli si tradisce mostrando tutti i difetti dell’io e cioè evidenziando il suo orgoglio, avidità, ambizione, sete di potere, intolleranza, ecc.
L’erudito, conscio del potere della cultura, si compiace di quanto ha udito, detto, scritto ed è sempre pronto a sciorinare il proprio curriculum pieno di incarichi e di esperienze, che sono spesso solo ambiziosamente desiderate.
L’erudito non si sazia mai di ciò che sa e continua a leggere all’infinito; così si impadronisce di pensieri, idee, teorie e anche comportamenti altrui. Purtroppo, poiché tutto ciò che ha appreso giace nella sua memoria ed è completamente estraneo alla sua coscienza, l’erudito ha un comportamento che contraddice ciò che afferma con le parole.
Solo l’internamente vissuto ha reale valore: chi non vive la conoscenza, non conosce, cioè la conoscenza che non diviene coscienza, non è autentica conoscenza, ma è solo memoria dei dati e cognizione di fatti.
La conoscenza deve risolversi in consapevolezza di essere (per Aristotele conoscenza è essere); ma vivere interiormente non è da tutti, perché richiede grandi sforzi e grande disciplina interiore, perché mentre è facile e naturale vivere estrovertiti è molto arduo entrare in noi stessi, per conoscerci intimamente.
Louis Claude de Saint Martin afferma che ci sono “molti dicitori e pochi facitori!”. Per essere veri “facitori”, cioè per avere come obiettivo quello di “entrare nel cuore di Dio”, è necessario essere consapevoli, e per essere consapevoli dobbiamo saper eliminare sentimenti e pensieri che turbinano nella mente e ci portano a vivere nel ricordo del passato o nella paura del futuro. Invece dobbiamo fare ogni sforzo perché per vivere l’attimo fuggente del presente, è necessario essere esenti da sentimenti e da pensieri che agitano la mente.
Il verificarsi di un evento esterno o interno al corpo fisico può determinare, specie quando è inatteso, una emozione che, quando è troppo forte, ci fa battere il cuore e ci rende gioiosi o depressi, perché induce nella mente pensieri positivi di gioia o negativi (depressione).
Il nostro modo di dirigere l’esistenza quotidiana, che è quello che determina la direzione verso il bene o verso il male, deriva dal modo di “sentire intimamente” le sollecitazioni che ci vengono dall’esterno o dall’interno. In questo modo si formano quei sentimenti di lunga durata che determinano l’andamento dell’esistenza umana.
È necessario avere un approccio disteso, equilibrato e soprattutto amorevole verso la vita. Bisogna considerare le avversità che si presentano avendo una forte volontà di superarle, considerandole difficoltà che si frappongono al nostro armonico cammino verso Dio, al nostro intento di tornare nella casa del Padre.
Questo cammino deve avvenire seguendo i suggerimenti della coscienza e alla luce della legge divina; occorre avere una fede incrollabile che, con questo approccio alla vita, riusciremo a vedere la luce mentalmente inconcepibile della divinità.
Sergio Paribelli
Francesco Doino dice
Più che condivisibile l’invito a porre un freno al frastuono fastidioso che ci accompagna nel quotidiano cammino della vita.
Solo una condizione di quiete ci può permettere di ascoltare il nostro daimon e permetterci quindi di essere compiutamente e consapevolmente quello che siamo e non quello che crediamo di essere.
Antonino Rampulla dice
E’ una Tavola perfettamnete condivisibile che ci induce a ringraziare l’autore per gli stimoli a riflettere su erudizione e conoscenza. L’erudizione è mera apparenza di conoscenza. Questi due parametri ben si confrontano con il “sembrare ed essere”. L’erudito cerca di apparire dimenticando che l’apparire è «quello che non si è» ,infatti Parmenide diceva che “ l’essere è […], mentre il non essere non è e non può non essere.”
La persona erudita crede di conoscere quindi è ciò che non è, e nell’introspezione della sua quotidianità appare colto ma, come giustamente afferma l’autore, ” non vive la conoscenza” e sciorina una serie di dati incasellati nella sua memoria. Colui che invece sa guarda dentro se stesso e scopre la sua vera idenditità.Scoprirà il detto socratico “conosci te stesso” che lo guiderà in un suo cammino di perfezionamento.
massimo bareato dice
via dal mare agitato dimenticando ciò che si è per diventare ciò che saremo…….
Per raggiungere la conoscenza aggiungi qualcosa ogni giorno. Per conquistare la saggezza togli qualcosa ogni giorno. (Lao Tzu)
Vincenzo Lanteri dice
Ringrazio, di cuore, Sergio e gli altri, per le interessanti riflessioni sviluppate su questi due importanti temi. Voglio portare anch’io il mio piccolo contributo.
L’erudizione o polymathia non è altro che un accumulo di informazioni, stile archivio dati o data base, che possono essere utilizzati per finalità diverse e più o meno nobili, utili, costruttive. Certamente non è conoscenza che, come è evidente, si colloca molti gradini più in alto. La conoscenza è lo studio delle leggi, dei fenomeni, delle dinamiche, di tutto ciò che riguarda la vita nella sua dimensione naturale, materiale, immanente. Il passaggio successivo, molto più in su nella scala della evoluzione o, meglio, della elevazione dell’uomo, si colloca la saggezza alimentata dala ben nota scintilla divina che si trova in ciascuno di noi, celata tra le pieghe più profonde della nostra interiorità. Con la saggezza, che è fondamentalmente ricerca della Verità, insieme al l’intelletto, si aprono le porte del cuore. Gli scolastici medievali affermavano che si conosce solo ciò che si ama. Molte tradizioni, sostiene Panikkar, hanno posto in bella evidenza il carattere attivo e trasformante della saggezza. Il Ramayana dice:” La saggezza è Dio nel mondo. Nella saggezza si radica tutto. Non esiste un gradino più alto”. In questo senso la saggezza ben può coincidere con la realizzazione spirituale che, come sappiamo, inizia con l’apertura del terzo occhio o, se preferiamo, con la nostra rinascita nello spirito. La realizzazione spirituale implica il riconoscimento della dimensione trascendente e l’aspirazione ad accedervi, con tutto quello che comporta in termini di preparazione. La Bibbia recita”: Nel buon cuore dell’uomo riposa la saggezza “. Il Reg-veda canta:” Avendo i saggi meditato profondamente nel loro cuore, trovarono il legame tra l’essere e il non essere”. Nelle Upanisad si legge:”Dal cuore viene riconosciuta la verità ( saggezza) ; perché davvero la verità ha nel cuore la sua dimora”. La saggezza è la chiave della conoscenza superiore che apre la porta che separa l’immanente dal trascendente, l’umano dal divino. Al di là delle Colonne D’Ercole inizia la realizzazione spirituale. È la morte del nostro Io, del nostro Ego che ci porta a quella purezza di cuore che, sola, ci può abilitare, rendere degni della realizzazione spirituale. Vincenzo Lanteri.
Enzo G. dice
E’ molto rappresentativa la scala a chiocciole affianco al Filosofo in meditazione.
LUI: me lo immagino con gli occhi chiusi a lavorare sul “silenzio” e cercare il VERO senso dell’assenza di pensieri
LEI: che porta “di sopra”, una vota che la meditazione fa scattare ‘quel non so che’… un vero e proprio risucchio, inconsapevole ed intenso
Grazie
Pasquale Gianfranco La Rosa dice
Come disse Confucio nei suoi Analect “studiare senza riflettere è cosa vana ma riflettere senza studiare è cosa pericolosa “. Lo studio ci permette di memorizzare le cose, la riflessione di conoscerle. La conoscenza nella nostra vita deve essere il mezzo e non il fine. Solo perseguendo una vita retta e virtuosa e rispettosa delle giuste regole metteremo realmente a frutto le nostre conoscenze e vivremo da uomini virtuosi.